Ebbene, in questo contesto di social-casting trovo che la rapidità sia una dote essenziale, anche perché il tempo non c’è, quindi, come ormai d’abitudine, sarò molto breve.
Mi sono recata al Carrousel du Louvre venerdì 2 dicembre 2011, verso le 16, accompagnata da Le Petit Ballon, reduce da una brutta influenza e non ancora in piena forma.
Non mi sono accreditata come blogger, perchè non ne avevo voglia, troppo caldo e già troppa gente all’entrata, ho utilizzato l’invito di Thienot, per la degustazione della couvée “La vigne aux gamins“, peccato che poi neanche sono riuscita a degustarlo. Mi reco presso l’accoglienza a ritirare un bel bicchiere riedel, in cambio di 5 euro, che mi sarebbero stati restituiti se non lo avessi dimenticato allo stand di Clos le Moulin aux Moines, dove c’era, tra l’altro una splendida caraffa riedel a forma di serpente.
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Niente male dunque il Pommard Prémière cru “Clos Orgelot” 2009, persistente ma delicato… semioticamente parlando, l’etichetta mette in evidenza la denominazione che corrisponde alla localizzazione, si tratta dunque di un toponimo, che valorizza l’identità visuale del dominio attraverso una rappresentazione del dominio stesso, inoltre quel “Clos Orglot” è finalizzato alla valorizzazione di una couvée prodotta da un terroir specifico di referenza. Seguendo l’interpretazione semiotica di François Bobrie e applicando la dicotomia espressa da Nietzsche potremmo dire che questo formato è di tipo “apollineo”, ovvero razionalizzante, che privilegia la messa in valore dell’enunciatore.
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Martin de Le Petit Ballon mi ha fatto assaggiare delle cose eccellenti, come ad esempio il “Couvent de Thorins” (prezzo 11.90) di Château de Moulin à Vent, uno dei produttori più conosciuti del Beaujolais, dall’etichetta semplice e pulita, in stile apollineo, con una valorizzazione del nome della couvée e della denominazione, in modo da non sbagliarsi.
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E poi letteralmente orgasmica (si, lo so che non si dice…) la couvée D di Champagne Devaux, normalmente a me non piace lo champagne, le mie papille vi trovano qualcosa di aggressivo (a meno che non sia il 100% Pinot Meunier di Tarlant)… in tal caso devo dire che sono stata piacevolmente stupita. E poi che dire dell’etichetta, si tratta di un mix tra apollineo, con ben chiaro il nome e il marchio dell’enunciatore, e bacchico, grazie al color oro e alla consistenza spessa e alla sovrimpressione della lettera D, alla quale neppure io ho resistito, e ho dovuto assolutamente toccare. Insomma, una condivisione di 4 sensi: vista, tatto, olfatto, gusto. Bravi, davvero una bella scelta!
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E che dire dei vini di Delas, rispettivamente Saint Joseph e Crozes Hermitage, con quelle note speziate e di liquirizia, che tanto mi fanno ricordare il bastoncino legnoso che masticavo quando ero piccola… e i vini del mediterraneo, nonostante qui stiamo parlando di vigneti piantati accanto al Rodano. L’etichetta è severa, decisamente apollinea, razionalizzante e totalmente incentrata sull’enunciatore, ovvero sul mittente del messaggio, senza troppo far leva sulla componente emozionale.
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Martin parte presto, la sottoscritta decide di fermarsi ancora qualche minuto, e intravede i colori di Chateau Peyrat Fourthon, che decido di riassaggiare nella versione 2008… non mi ero sbagliata a Pauillac, è proprio buono!
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E poi l’amore… prima di dimenticare il bicchiere Riedel, e con esso i miei poveri, piccoli e sudati 5 euro, vedo un cedro del Libano… ed ecco che incontro la magia di Chateau Marsyas, pepe e liquirizia… Syrah…
“Citata già da Strabone e Plinio il vecchio, Marsyas è l’antico nome della Valle della Bekaa, situata ai piedi del Monte Liban. Il suo nome deriva dal celebre satiro frigio, simbolo della libertà dell’uomo di fronte ai capricci degli dei, che, sfidando Apollo in una competizione musicale, viene scorticato vivo per la troppa audacia. Marsyas personifica la libertà e l’autonomia delle città indipendenti.”
L’etichetta è pulita, equilibrata di elementi apollinei e bacchici, c’è il nome del dominio, che è il nome del satiro, ma anche l’antico nome della Valle della Bekaa, e poi c’è il satiro stesso, raffigurato ai piedi di un albero, che sfida Apollo suonando soavemente il suo flauto… un pò come le vigne libanesi, che sfidano le proibizioni e i divieti dell’Islam, in un luogo tra i più belli e antichi del mondo.
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