Fuori programma: il Signore e’ un gran guerriero, il suo Nome e’ il Signore

il Signore e’ un gran guerriero, il suo Nome e’ il Signore (Esodo, 15-3)

E’ questo l’esergo del primo capitolo del celebre libro di James Hillman, Un terribile Amore per la guerra, Ed. Biblioteca Adelphi (A terrible Love for War). Un libro che acquistai nel 2005, e che mi appassiono’ parecchio nel periodo post 11 settembre.

Il filo conduttore di questo libro e’ che la guerra appartenga intimamente al genere umano come pulsione primaria dotata cioe’ di una carica libidica non inferiore a quella di altre pulsioni che la contrastano e insieme la rafforzano, quali l’amore e la solidarieta’.

In questo periodo  buio della storia del mondo duramente colpito dalla pulsione primaria autodistruttrice mi sono ritrovata tra le mani testi che avevo messo sullo scaffale da 10 anni… e che avevo letto con l’ingenuita’ dei 20 anni, e che avevo smesso di leggere sbagliando.

Ora e’ il momento di ricominciare a leggerli, con la saggezza dei 30 anni passati.

Cosa ci spinge ad ammazzarci come cavallette? da dove viene questa pulsione contraddittoria che mescola vita e morte, gioia e dolore, vittime e carnefici, religione e politica?

Personalmente non lo so… cerco di leggere e di mettere insieme i pensieri per darmi una risposta e per trovare, forse, un po’ di pace.


 

Polemos di tutte le cose e’ padre” disse Eraclito [fr 22B53 DK; Colli A19] agli albori del pensiero occidentale, e Emmanuel Levinas, nella fase attuale del pensiero occidentale ha riformulato cosi la stessa idea:  … “l’essere si rivela al pensiero filosofico come guerra”. (Levinas, 1979, p.21 ) […} Noi pensiamo secondo la categoria della guerra, ci sentiamo in dissidio con noi stessi e senza rendercene conto siamo convinti che la predazione, la difesa del territorio, la conquista e la battaglia interminabile di forze opposte siano le leggi fondamentali dell’esistenza.-

[…]

Lo stato di pace tra gli uomini che vivono gli uni accanto agli altri, non e’ uno stato naturale (status naturalis), il quale e’ piuttosto uno stato di guerra…” (Kant, Per la page perpetua, p.53)

Hillman, 2005, p.12-13

La terra e’ dove abitano i morti, i morti e l’anima storica di un popolo. Un medico iracheno dice a Jon Lee Andeson: ” sta tornando la tempesta di sabbia… si sente dall’odore. Sa di terra… Ogni volta che sento questo odore, mi tornano in mente i morti. Provi a pensarci. Pensi alla storia dell’Iraq. Che altro e’ se non migliaia di anni di guerre e di uccisioni… fin dai tempi dei sumeri e dei babilonesi. Milioni di persone sono morte su questa terra e ne sono diventate parte. I loro corpi fanno parte della terra, della terra che respiriamo

“The New Yorker”, 7 aprile 2003, p.39 in Hillman, 2005, p.63


 

Makr Al-Deeb, 19 maggio 2004. In un villaggio iracheno, nei pressi del confine con la Siria, missili lanciati dalle forze americane si abbattono sui partecipanti a una festa di matrimonio. Fra le quarantacique vittime ci sono donne e bambini, nonche’ alcuni musicisti che stavano allietando la cerimonia. Data la potenza esplosiva la carneficina e’ impressionante. Circola la tesi che dei terroristi si nascondessero nel gruppo, ma viene presto smentita ed abbandonata. In guerra, ammettono i massacratori, capita di sbagliare.

Il linguaggio bellico chiama questi sbagli ” danni collaterali”e, pur esecrandoli, li considera incidenti inevitabili. Notevole per ampiezza, la categoria di ” danno collaterale’ si estende , oggi, a pressoche’ tutte le vittime civili che, nel computo generale dei morti, superano ormai il novanta per cento. Se si osserva la scena del massacro dal punto di vista delle vittime inermi invece che da quella dei guerrieri, il quadro tuttavia, anche in questo caso, cambia: dilegua la finzione retorica del “danno collaterale” e la strage si fa sostanza.

Piu’ che la guerra, cio’ che risalta e’ l’orrore.

Adriana Cavarero,2007, p.7-8


to be continued…

Magda