Non conventional wine marketing? Yes we can!

Guerrilla marketing, buzz, word of mounth…  Tutti o quasi conosciamo a grandi linee l’evoluzione più o meno immediata, ma sicuramente progressiva della comunicazione in generale. Una comunicazione che pur utilizzando uno strumento ad alto contenuto tecnologico, che comprime spazio e tempo in un unico non luogo senza corpo, utilizza delle definizioni e dei termini strettamente connessi alla sfera del corpo, come appunto Guerrilla, chiacchiera e passaparola.

Insomma, parole nate dal corpo, nate dove il corpo non c’è più.

Il passaparola, l’aspetto più conosciuto del Social media marketing, dove certo, come direbbe McLuhan, il medium è il messaggio, è scatenato in maniera assolutamente naturale, dove naturale ha l’accezione di spontaneo, nel senso che lo stimolo parte dal livello di interesse che coloro che ricevono il messaggio nutrono per il messaggio stesso… più alto è l’interesse, lo stupore, la curiosità e più ampio sarà il respiro del passaparola.

La cosa più importante innanzitutto è saper ascoltare cosa dice la gente…. l’ascolto diventa quindi la capacità che un’azienda, un marchio, un’impresa devono sviluppare per poter sfruttare al meglio le potenzialità di questa forma di comunicazione alternativa. Ascoltare il consumatore, i commenti buoni e cattivi… insomma, una specie di iper focus group dove ciascuno può esprimersi su un dato argomento.

E nel mondo vinicolo? Come reagisce il mondo vinicolo a questo tipo di sollecitazioni? Può il Social Media Marketing costituire una forma di comunicazione efficace?

Il discorso è molto lungo, credo che ci vorrebbero moltissimi caratteri, forse addirittura un libro intero per affrontare in maniera dignitosa l’argomento, per il momento non ho né la preparazione, né sufficienti ricerche per pronunciarmi in maniera esaustiva, ma posso dire che in Italia non è sicuramente lo strumento più utilizzato dai produttori vinicoli (senza toccare il tasto dei social network, che costituirebbe un’altra interminabile parentesi), comunque lascio ai lettori il compito di smentirmi.

Gli Stati Uniti per contro hanno una discreta padronanza dello strumento, basti pensare a Gary Vaynerchuck, oppure a Rick Bakas, oppure a quello che a Parigi sta facendo Miss Vicky Wine, e a molti altri nomi che possiamo facilmente incontrare nel web.

Nel mio peregrinare continuo nella rete sono inciampata in Intwine, agenzia di comunicazione specializzata nel settore vinicolo che si occupa di marchi europei come The French Rabbit ,  brand americano di proprietà di Boisset che ci insegna a scrivere lettere d’amore ; oppure Danzante, marchio creato per gli Stati Uniti, con Sede Legale in California, ma italianissimo e distribuito dalla holding  Tenute di Toscana, che attraverso un buffo personaggio che rappresenta l’Italiano tipo con camicia bianca, giacca gessata grigia e mani che gesticolano in continuazione, ci propone un quiz per verificare “The fine art of faking Italian”.

Oppure  Tapena Wine, che  propone alla clientela americana un divertente quiz sulle abitudini alimentari spagnole; e ancora Yellowglen, vino effervescente australiano che ti invita a scoprire “How bubble are you?”

Credo che per questo tipo di cose gli americani siano molto bubble… Francamente non so se questo tipo di comunicazione non convenzionale possa funzionare in Italia, ogni paese ha la propria cultura e i propri immaginari di riferiemento, la referenza immaginativa dell’europeo é sicuramente diversa da quella dell’americano. Si tratta quindi di cercare la referenza adeguata, conoscere le aspettative e gli immaginari…. si tratta ancora una volta di tendere l’orecchio, e ascoltare qual brusio di sottofondo, quella chiacchera a volte inutile, ma forse sincera.